Alessandra Barreca

Alessandra Barreca
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Vivere giocando a calcio. Intervista ad Alessandra Barreca

[Intervista di Elisabetta Barreca]

Parole: 1.144 | Tempo di lettura: 4 minuti

Ciao Alessandra, cosa fai nella vita?

Nella vita sono una studentessa. Mi sto per laureare in ingegneria gestionale alla Sapienza di Roma, dopo 5 anni duri e faticosi. Ci ho messo un po' più di tempo per raggiungere quest’obiettivo anche a causa d’impegni extra-scolastici, quali lo sport. Ormai sono passati quasi 12 anni da quando ho iniziato a praticare lo sport che mi sta accompagnando nella vita: il calcio. Sì, potrei definirmi una studentessa-calciatrice.

Com'è vivere il calcio in Italia per una ragazza?

Vivere il calcio femminile in Italia non è semplice e non è assolutamente paragonabile al maschile, nel bene o nel male. Noi calciatrici ogni giorno dobbiamo affrontare quella che è la realtà nel nostro Paese: calcio femminile = sport di "poco conto". Sacrifici e sforzi fatti per raggiungere alti livelli non sono riconosciuti né a livello economico, né a livello organizzativo. A partire dalla Serie C, fino a arrivare alla Serie A. Strutture organizzate male, risorse e finanziamenti che mancano. Se vogliamo vedere del positivo, senz'altro possiamo dire che nel calcio femminile abbiamo valori più genuini e meno toccati dalla negatività che contraddistingue invece il business del calcio maschile. Noi giochiamo per passione e divertimento e spesso dobbiamo riuscire a conciliare il calcio con il lavoro o lo studio, come nel mio caso. Vivere col calcio femminile è impossibile. L'estate scorsa ho avuto il piacere e la fortuna di misurarmi con il calcio femminile in America, partecipando al campionato di WPSL con la squadra AC Seattle. Un'esperienza fantastica, in un Paese, quello americano, in cui il calcio femminile la fa da padrone e non deve fare i conti con i tanti pregiudizi a riguardo presenti invece in Italia.

Com'è nata la tua passione per il calcio e come hai cominciato?

Coltivo da sempre la passione per questo sport. Anche quando da piccola praticavo ginnastica artistica e successivamente la pallavolo, il calcio continuava a entusiasmarmi ed emozionarmi. Non perdevo una ricreazione a scuola senza rincorrere un pallone e organizzare partite con i miei amici. Avevo casa attaccata al giardino della scuola e quando succedeva che non avevamo un pallone, io e i miei amici iniziavamo a chiamare a gran voce mia mamma, che dalla finestra ce ne lanciava uno. Fino ai 13 anni però non ero assolutamente a conoscenza dell'esistenza del calcio femminile. L'incontro con quello che sarebbe poi diventato il mio primo allenatore del Firenze fu del tutto casuale. Mi avevano chiesto di fare da arbitro a dei tornei di mini-volley alla mia scuola e nell'organizzazione era presente anche l'allenatore Ciolli. Durante le pause io e un'amica prendevamo un pallone e iniziavamo a giocare con i piedi. Lui mi ha visto e mi ha voluto subito invitare a un paio di allenamenti con loro. Dal lì, l'inizio della mia carriera calcistica e l'inizio di tante soddisfazioni.

Come riesci a conciliare studio e attività sportive?

Conciliare sport e studio è sempre stato poco problematico. Ovviamente i sacrifici son stati da subito tanti. Quando ho cominciato abitavo nel Mugello, in provincia di Firenze e il campo di allenamento era situato a Firenze. I miei spostamenti richiedevano quasi 3 ore di treno, contando l'allenamento se ne andavano via giornate intere. Nelle poche ore libere studiavo e fortunatamente mi bastavano una/due letture per apprendere i concetti. Finito il liceo scientifico a pieni voti, ho continuato con l'università. Solitamente conciliare studio e sport rimane più semplice durante gli anni universitari, per la possibilità di organizzarsi gli esami a proprio piacimento; per me al contrario è stato un po' più difficile. Credo sia stato soprattutto per il fatto di esser andata a vivere lontana da casa. Quando voglio fare una cosa vado avanti con determinazione e testardaggine (pregio o difetto? Dipende dalle situazioni).

Qual è la differenza tra il calcio femminile e quello maschile secondo te?

Come già detto prima la differenza maggiore è l'aspetto economico e finanziario: i soldi che girano nel maschile, da noi non esistono e questo ci penalizza molto. Molte sono le squadre, anche a livello di Serie A che riescono a malapena ad arrivare a fine anno. Sostenere le spese non è facile e le strutture (campi, segreterie e spogliatoi) spesso non sono di proprietà della società. Un'altra differenza è senz'altro l'organizzazione. Presidenti, campi, dirigenti, del tutto diversi. Anche se il nome è lo stesso, (ad esempio, io quest'anno gioco con la Roma in serie B) le squadre maschili e femminili non hanno nessuna relazione. A livello di gioco ci sono differenze notevoli dovute alla differente fisicità e differenze a livello tecnico, queste dovute dall'inesistenza di appropriate scuole di calcio. A livello tattico invece non abbiamo nulla da invidiare ai ragazzi.

Hai anche giocato in nazionale nel 2008, cosa si prova ad arrivare così in alto?

Beh in realtà in nazionale ho iniziato ad andarci dal 2004. Nazionale under 17, poi under 19 e infine la Maggiore. Le tre categorie esistenti per il calcio femminile. Il culmine della mia esperienza in nazionale è stato nel 2008 con la vittoria dell'unico titolo vinto per il momento da una nazionale femminile italiana di calcio: l’Europeo. Emozioni incredibili. La conquista e la gioia più bella in tutta la mia vita calcistica. Arrivare sul tetto d'Europa dopo anni e anni di fatiche e dedizione per questo sport è un qualcosa di unico. Al di là del fatto che vestire la maglia azzurra è sempre un'emozione indescrivibile e credo sia anche l'obiettivo cui una calciatrice o un calciatore aspira durante la sua carriera.

E nel Seattle quest'estate. Quale visione hanno gli americani del calcio femminile?

Come detto in precedenza, gli americani hanno una mentalità più aperta rispetto agli italiani. Quando passeggiavamo per strada in America con la tuta della società, la prima domanda che ci veniva posta era "giocate a calcio?" e dopo la nostra risposta iniziavano a farci domande come se si fossero subito appassionati alla nostra squadra, curiosi di sapere. In Italia l'ignoranza la fa da padrone e spesso non si conosce neppure l'esistenza del nostro sport. Anche il gioco stesso è diverso, molto più fisico e aggressivo, ma mi sono resa conto che peccano molto a livello tattico.

Cosa vedi nel tuo futuro?

Credo di continuare a studiare, specialistica o master, magari all'estero dove ci sono più opportunità. Credo che il calcio potrà avere meno posto nella mia vita. Già quest'anno, per terminare gli studi, dopo 7 anni di Serie A sono dovuta scendere di categoria per potermi dedicare in primo luogo allo studio. Spero però che il calcio femminile possa continuare a svilupparsi e raggiungere un livello quanto meno discreto. L'Italia è uno di quei Paesi europei in cui il calcio femminile è considerato Dilettantistico. Spero davvero che i sacrifici e gli sforzi fatti dalle mie colleghe possano essere ripagati nel miglior modo possibile. E che possa esser lo stesso per tanti altri sport ancora considerati minori in Italia, a mio parere ingiustamente.

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