Diego Senziani
Trasformare un legno abbandonato sulla spiaggia in una vera e propria scultura: la storia di Woodys.
Diego Senziani, dopo il licenziamento, sceglie di trasformare il suo hobby in un vero e proprio lavoro: trasformare legni abbandonati sulla spiaggia in vere e proprie sculture da utilizzarle per raccontare storie.
Diego, qual é stato il tuo percorso formativo e lavorativo prima di intraprendere questa attività?
Dopo il liceo classico mi sono laureato in Scienze Politiche. Ho lavorato 20 anni come manager in Società di Ricerca e Selezione del Personale. Ho partecipato all’avviamento di Metis, una delle più interessanti start-up italiane: in 12 anni abbiamo aperto 150 filiali, 300 milioni di fatturato all’anno. Un’azienda con una visione innovativa, che sapeva valorizzare il talento e investire sulla formazione delle persone. Ero direttore operativo, poi Metis è stata acquisita e sono stato licenziato.
Quindi come hai proseguito?
Ho cercato un lavoro in cui poter fare cose innovative e imparare. Dopo Metis questo non è più stato possibile. Allora ho deciso di creare qualcosa per me stesso e sono diventato un “imprendiAUTORE”. Ho scritto “Il SineQuaNon”, un romanzo di fantasy management, poi “Le tribolazioni di una selezionatrice”, un job storytelling che raccoglie esperienze vissute da chi sta tra l’incudine e il martello, tra i candidati e i datori di lavoro. Autoproduco e vendo i miei libri tramite le piattaforme di self-publishing e il mio negozio narrativo online.
Vendi i tuoi libri solo in Italia?
No, anche all’estero. Negli Stati Uniti è un modello di business che funziona bene: personaggi come Guy Kawasaki, ex-evangelista della Apple, e l’attore Jim Carrey hanno percorso la strada dell’autopubblicazione. In Italia siamo ancora agli albori. Quando e come è nata la tua attività di scultore con il legno? Verso la fine del 2012 ho iniziato a trasformare un hobby in un progetto “imprendiAUtoriale”. Mi sono ispirato alla driftwood art. Artisti come Heather Jansch o Marc Bourlier trasformano e assemblano i legni spiaggiati. Io invece raccolgo piccoli legni che hanno già per natura una forma narrabile e assomigliano a creature della zoologia fantastica. Attraverso le storie li trasformo in personaggi, gli anima-legni Woodys, e poi in prodotti narrativi. Attraverso la creatività valorizzo il materiale di scarto della natura, un’operazione di recyclart che io chiamo driftwood art narrativa.
Quali difficoltà hai dovuto affrontare per intraprendere questo progetto?
Purtroppo l’Italia non è l’Inghilterra. Il concetto di creatività qui è quasi solo “sintattico” (una parola), nel mondo anglosassone invece la creatività è una via narrabile e anche praticabile. Giornalisti e connettori, come li chiama Malcolm Gladwell nel suo libro “Il punto critico”, seguono fin dalla nascita certe idee creative, ne parlano perché credono che si possa fare qualcosa di significativo anche se non si è un geek domiciliato in Silicon Valley. È una questione di “visione”.
In che senso una questione di visione?
Per esempio, ci sono persone che non riescono a “vedere” i Woodys, così come probabilmente non riuscirebbero a vedere le opportunità nascoste tra le pieghe della realtà. Per questo ho preparato un corso di formazione in cui i Woodys sono strumenti di pensiero visivo (visual thinking). Forse è per questa carenza di “visione” che in Italia si investe poco nel favorire la creatività, l’immaginazione applicata, e quindi il talento e l’innovazione.
Come funziona il processo di creazione delle sculture?
L’artista principale è Madre Natura che, con i suoi agenti atmosferici e il tempo, sbreccia il legno, sagoma, leviga, sintetizza, è lei la scultrice. Io vago nella natura, sgrano gli occhi come un cercatore di pepite, ripulisco il legnetto e al limite lo valorizzo con un po’ di vernice trasparente, poi lo metto su un piedistallo. Mentre faccio questo la storia nasce quasi da sé, ecco che un legno diventa un anima-legno, un’opera unica e irriproducibile che racchiude in sé la forza cosmica della natura.
Quanto è importante lo storytelling nel tuo lavoro di scultore?
Lo storytelling è fondamentale, crea il personaggio e il prodotto narrativo. Senza storia ci sarebbe solo un legnetto, non un anima-legnetto, la sua immagine riportata sulla T-shirt e su altri oggetti sarebbe priva di significato e di valore. Sono le storie che creano valore, anche il marketing se n’è accorto: lo dimostra l’esperimento di significant objects, in cui degli scrittori americani hanno creato una storia per alcuni oggetti che poi sono stati messi all’asta su e-Bay a un prezzo 30 volte quello d’acquisto. Il mio è anche un esperimento di transmedia storytelling.
Di che cosa si tratta?
Le persone possono inviare nella pagina facebook dei Woodys le foto dei loro ritrovamenti, possono inventare una storia e contribuire all’enciclopedia degli animalegni. Su slideshare c’è un corso in cui i Woodys sono strumenti per sviluppare l’immaginazione. Le presentazioni del libro sono, dov’è possibile, accompagnate da una mostra dei Woodys e da una proiezione su come “leggere” queste forme.
Dove trovi l’ispirazione per creare nuove opere?
È la Natura che crea le opere, io le classifico come un piccolo Linneo, gli dò un nome fantastico e le racconto. Per farmi associare una storia a una forma di legno basta una scintilla e a volte questa è racchiusa nel capitolo di un libro, la scena di un documentario, uno scorcio di vita quotidiana. Allora scendo in garage, estraggo dagli scatoloni il legnetto a cui ho pensato, lo pulisco, gli do un piedistallo e lo animo con una storia, ecco che una nuova creatura si aggiunge all’enciclopedia degli anima-legni.
Che progetti hai per il futuro?
Sto preparando un altro libro su queste forme, chiamate fitomorfoplasmi, con un taglio meno favolistico. Voglio raccontare il loro valore artistico e parlerà di morfologia, pareidolia, land art, botanica parallela e legami tra psiche e natura. Continuerò ad aggiungere nuove creature alla prima enciclopedia degli animalegni. Mi piacerebbe organizzare una mostra e replicare l’esperimento americano di significant objects: riunire in un libro-progetto scrittori che raccontino le loro storie sugli animalegni, ognuno secondo il proprio stile.
Che consigli daresti a chi ha il sogno di creare una start up, ma ha paura di fallire?
I guru che dettano ricette per il successo mi sembrano calvi tricologi che dispensano unguenti per la crescita dei capelli. Mi farò guidare dalla convinzione di continuare a coltivare la mia idea. Non siamo in America dove il terreno della creatività trova humus fertile e i colpi di fortuna sono direttamente proporzionali ai semi piantati. Qui bisogna perseverare, dissodare, togliere pietre, seminare e fare avanzare piano le radici. Ci vuole più tempo, maturazione. Bisogna amare la propria idea, il lavoro deve essere passionale prima che venale. Quando facciamo impresa pensiamo tutti al mercato di massa, ma come dice Seth Godin “D’ora in poi, il successo sul mercato di massa sarà l’eccezione, la mosca bianca. La massa è morta. Ora tocca agli strambi”. Un mio consiglio potrebbe essere la risposta a una domanda: faresti quello che stai facendo anche se non dovessi guadagnare? Se la risposta è sì la tua idea è già un successo.
- Creato il: 07/12/2013
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- Tags: Intervista Senziani Diego Woodys Capitale_Culturale
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